“IL palloncino” racconto di Franca Benedusi

“IL palloncino” racconto di Franca Benedusi

Era un caldo pomeriggio d’estate ed ero felice. Percorrevo la strada che da Lunetta porta a San Benedetto Belbo tenendo stretto nelle mani l’involucro con i “miei punti”.
Camminavo veloce quasi a voler sfuggire i raggi del sole ed osservavo divertita i miei piedi. Apparivano e scomparivano alternativamente dalla polvere che, abbondante, ricopriva il manto della strada. Più andavo veloce e più le nuvolette di terra aumentavano e man mano svanendo, ricoprivano le mie gambe del loro stesso colore.
Quasi senza accorgermene arrivai al Belbo. Non avrei voluto fermarmi, ma il fresco di quell’acqua mi convinse a fare una sosta. Posai il sacchetto di stoffa sull’erba e sopra adagiai il pacchettino con i “punti”.
Tolsi i sandali e con un balzo mi trovai con i piedi immersi. Lo scorrere dell’acqua accarezzava le mie gambe ripulendole in un attimo dalla polvere ed addolcendo il pizzico fastidioso causato dal sole. Uscii quasi subito e, nell’avvicinarmi alla mia roba, feci molta attenzione a non bagnare i “punti”, i miei “punti”: le etichette delle scatole della pasta Agnesi.
Erano cento e la fatica per poterne radunare così tante era stata immensa. La mamma comprava poco la pasta; lei stessa la faceva esaudendo il desiderio di papà che, assaporando quella fatta da lei, ogni volta ne sottolineava mille pregi. Per radunarne cento, il numero necessario per avere in premio il pallone, avevo dovuto ricorrere alla collaborazione di tutte le mamme della frazione.
Rimisi i sandali. Presi il sacchetto di stoffa nel quale avrei messo il pane e, tenendo gelosamente il pacchettino con i punti, mi riavviai verso San Benedetto. Il pezzo di strada che dovevo ancora percorrere era il più faticoso. Dovevo infatti, attraversato il fiume, imboccare una ripidissima salita.
Un sentiero delimitato da due bassi muri in pietra e disegnato da massi disposti a gradini. Ai lati non c’erano piante ed il percorrerlo, nella stagione calda, era davvero faticoso. Le pietre che addolcivano la salita, grazie alla disposizione voluta da chi l’aveva fatto, sprigionavano un caldo fortissimo.
Lo sentivi salire su per la pelle delle gambe e man mano invaderti tutto il corpo. Per sfuggirlo acceleravi il passo con la speranza di riuscire a percorrerlo tutto senza fermarti.
Ogni volta dovevi cedere perché il respiro ti mancava ed una sosta, anche se breve, era d’obbligo. Lo imboccai con decisione, quasi correndo, pensando: “Questa volta ce la faccio. Le mie gambe sono fresche. Le ho appena bagnate con l’acqua del Belbo”.
Arrivai quasi in cima ma quel correre mi provocò un forte batticuore. Anche questa volta dovetti fermarmi. Posai il sacchetto del pane per terra e mi appoggiai sopra mitigando il caldo delle pietre al contatto con il mio corpo. In breve tempo il mio cuore tornò a ritmi normali.
Mi alzai, raccolsi il sacchetto e, con l’intento di allontanare lo sporco raccolto nell’appoggiarlo per terra, lo scossi alcune volte, quindi ripresi il cammino. Entrai nel negozio stringendo forte nella mano il pacchetto con i “punti” ed ero felice. Lidia, la titolare, mi venne incontro e mi invitò a sedermi. – Hai corso, Franca, che sei così rossa in viso? – mi disse, ed intanto si allontanò riapparendo dopo pochissimo con un grosso bicchiere d’acqua.
Iniziai a sorseggiarla e tanta era la sete da non riuscire quasi a mandarla giù. La trattenevo in bocca sballottandola tra le guance provando una sensazione di freschezza immensa. – Hai fame, Franca? Vuoi un panino con il cioccolato bianco e nero? – Sì, grazie Lidia. – Lidia mi offrì il panino e vedendo il pacchetto di carta stretto tra le mie mani mi chiese incuriosita: – Cos’hai in mano? – Sono i punti, i punti della pasta Agnesi, ci sono tutti, sai Lidia. C’è il mio pallone? – chiesi tutto d’un fiato ed in quel momento tanto era il timore di sentire un ‘No’ che abbassai gli occhi come per sfuggire ad una immediata espressione di risposta negativa. L’attimo trascorso perché quel “Sì” giungesse alle mie orecchie mi sembrò eterno. Ma tanta fu la felicità nel sentirlo che non riuscii a trattenere una esclamazione di gioia.
In quel momento non sentivo più il caldo, non sentivo la sete, le mie gambe non erano più stanche, avevo voglia di spingermi verso l’alto ed a stento riuscivo a tenere i piedi appoggiati per terra. – Sai Franca, c’è il tuo pallone, è molto bello ed è a spicchi gialli, blu e rossi.
È grande, ora te lo prendo. È ancora chiuso nel nylon e bisogna gonfiarlo. Tu intanto mangia il panino e finisci l’acqua, io vado a prenderlo in magazzino. Mi sembrava di sognare. Assaporavo il cioccolato bianco e nero ed avevo l’impressione che non fosse mai stato così delizioso.
Anche il pane che sino a quel momento girava capriccioso in bocca, quasi a non volerla abbandonare, imboccava la via dello stomaco con una semplicità da lasciarmi stupita.
I miei occhi erano fissi alla porta che, aprendosi, avrebbe dovuto regalarmi quella dolce visione: Lidia con il pallone colorato… il mio pallone. Arriva: i miei occhi non abbandonano le sue mani.
Lo vedo: è piegato… riesco ad ammirarne i colori ed immagino che sia davvero grande. Lidia toglie l’involucro trasparente, lo distende, avvicina la valvolina alla bocca ed inizia a gonfiarlo. Seguo la scena senza parlare e senza battere ciglia. Trattengo quasi il respiro ed osservo il volto di Lidia che si gonfia e si sgonfia man mano che il mio pallone prende forma ed i suoi colori si delimitano più distintamente.
È grande ed ha già preso la forma perfettamente tonda. Vorrei averlo tra le mani, vorrei stringerlo a me, ma Lidia soffia ancora una volta attraverso la valvolina. Improvvisamente sento un colpo violento.
Le mie palpebre, sino ad allora paralizzate, si chiudono istintivamente e quando si riaprono vedono il pallone afflosciarsi ed in un attimo rimescolarsi tutti i colori. Dalla mia bocca non escono parole, ma sento gli occhi gonfiarsi e vedo allontanarsi le immagini circostanti.
Le lacrime trattenute a stento mi offuscano la vista. Vorrei correre via e vorrei piangere, ma non posso, devo prendere il pane. Lidia, vista la mia delusione, cerca di consolarmi, ma io non sento le sue parole.
Il mio desiderio è ora quello di avere il sacchetto di stoffa pieno di pane e correre via. Correre da mia mamma. Solo lei avrebbe potuto consolarmi e farmi dimenticare quel pallone tanto desiderato, visto, quasi toccato ed in un attimo svanito nel nulla .

Franca Benedusi Racconto tratto dal libro “ LE PRIME LUNE “ edito da Araba Fenice.

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